Solidarietà nella contribuzione INPS in materia di appalti: inapplicabile all’INPS il termine biennale di decadenza

Con una recentissima pronuncia, la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro ha stabilito che il termine di decadenza di due anni previsto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, non è applicabile all’azione promossa nei confronti del committente dagli enti previdenziali per il recupero dei contributi non versati da un appaltatore ai propri dipendenti, rilevando che tale pretesa di detti enti risulta essere soggetta alla sola prescrizione (Cassazione civile, sezione Lavoro, sentenza n. 18004 del 4 luglio 2019).

Come noto, l’art. 29, D.Lgs. n. 276/2003,  nel prevedere la responsabilità solidale del committente per i debiti retributivi e contributivi dell’appaltatore, stabilisce una decadenza di due anni dalla cessazione dell’appalto per far valere tale diritto nei confronti dell’obbligato in solido.

Ora, il silenzio della Legge sul punto ha da sempre lasciato aperto un dubbio interpretativo (non sempre risolto univocamente dalle corti territoriali) sull’applicabilità (o meno) di tale termine decadenziale anche all’INPS, nella propria azione di recupero dei contributi non versati dall’appaltatore. La sentenza in commento permette di fare luce su quella che potrebbe essere l’interpretazione che, da qui in avanti, verrà adottata nel risolvere tali contrasti (a maggior ragione dopo le modifiche apportate alla norma citata dal D.L. 9 febbraio 2012, n. 5).

Il caso riguarda un ricorso proposto dall’INPS (che si era vista rigettare la propria domanda nei due precedenti gradi di giudizio) che aveva avanzato detta pretesa contributiva attraverso un verbale ispettivo notificato alla società committente a titolo di responsabilità solidale.

In particolare, il Tribunale e la Corte territoriale, in accoglimento delle difese della committenza, avevano confermato l’inefficacia del verbale di accertamento emesso dall’ente poiché decorso il termine di due anni dalla cessazione dell’appalto per l’operatività della solidarietà prevista in materia, posto che tale termine avrebbe potuto essere interrotto solo dall’attività giudiziale (non valendo in tal senso anche la notifica del verbale di accertamento).

Fra i vari motivi di ricorso proposti dall’Istituto, due sono i più rilevanti, ovvero: (a) che il termine di decadenza ex art. 29, d.lgs. n. 276 non può essere applicato all’ente ma solo ed esclusivamente ai lavoratori in quanto l’INPS, nell’esercizio dei suoi poteri d’ufficio, non può incorrere nell’istituto della decadenza, (b) che il decorso del termine biennale, laddove ritenuto applicabile, si possa evitare solo con l’introduzione di un giudizio.

La Corte di Cassazione, con la sentenza citata, ha accolto le motivazioni dell’INPS e, con un ulteriore sforzo interpretativo, ne ha chiarito ed evidenziato la ratio. Secondo la Suprema Corte, infatti, la previsione di un vincolo di solidarietà tra committente ed appaltatore ha la funzione di rafforzare l’adempimento delle obbligazioni retributive e previdenziali, ponendo a carico dell’imprenditore che impiega lavoratori dipendenti da altro imprenditore il rischio economico di dovere rispondere in prima persona delle eventuali omissioni di tale imprenditore.

La medesima Suprema Corte ha infatti chiarito che la propria interpretazione (e quindi decisione) si ispira a ragioni di carattere sistematico in virtù dall’assenza, nel D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, di regole relative alla pretesa contributiva nonché alla considerazione della diversa natura delle due obbligazioni. Seguendo tale orientamento, in riferimento alla disciplina generale dell’obbligazione contributiva, la Corte ha ritenuto di escludere l’applicabilità del termine di decadenza per l’esercizio dell’azione di accertamento dell’obbligo contributivo e considerare solo la soggezione al termine prescrizionale, e ciò per diversi ordini di motivi.

Primo, alla luce del principio (invero ormai consolidato) secondo cui il rapporto di lavoro e quello previdenziale, per quanto tra loro connessi, rimangono del tutto diversi, con la conseguenza che l’obbligazione contributiva prevista per Legge in favore dell’’INPS è distinta ad autonoma rispetto a quella retributiva verso il lavoratore.

Secondo, in ragione della rilevanza sociale cui mira l’obbligo contributivo e la previsione di un minimale – che è stato non a caso previsto dalla Legge in modo imperativo, per incontrare un interesse della collettività – non sarebbe coerente ritenere la possibilità che alla corresponsione di una retribuzione, a seguito dell’azione tempestivamente proposta dal lavoratore, non possa seguire il soddisfacimento anche dell’obbligo contributivo, e ciò solo perché l’ente previdenziale non avrebbe azionato la propria pretesa nel termine di due anni dalla cessazione dell’appalto. Se così fosse si romperebbe il nesso stretto tra retribuzione e contribuzione, con ciò minando quella protezione assicurativa del lavoratore che l’art. 29, D.Lgs. n. 276 del 2003 ha voluto al contrario proteggere.

Su tali basi, la Corte di Cassazione-Sezione Lavoro, con la sentenza in commento, ha concluso affermando il principio secondo cui “il termine di due anni previsto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, non è applicabile all’azione promossa dagli enti previdenziali, soggetti alla sola prescrizione”.

I numerosi e frequenti contenziosi presenti e futuri sul tema della responsabilità solidale del committente per i contributi non versati dall’appaltatore, dunque, dovranno tenere conto di tale principio interpretativo di diritto, che ne travolgerà inevitabilmente molti.